Sapevo che stava cercando di consolarmi. Sicuramente sentiva il mio dolore. L’altra sera piangevo e lui mi ha portato il suo giocattolo preferito, sperava potesse consolarmi….
Ogni proprietario è pronto a giurare, il suo cane lo capisce meglio di chiunque altro!
Eppure da anni gli scienziati si chiedono se i cani, che indubbiamente ci osservano, siano in grado di leggere le nostre espressioni emotive e modificare il loro comportamento in base a ciò che vedono in noi.
I cani entrano nelle nostre famiglie nelle quali occupano spesso un posto preferenziale, ci accompagnano, fanno parte delle nostre vite in maniera molto simile a quella dei bambini e le loro capacità mentali sono spesso state paragonate a quelle dei bambini piccoli.
Ed è proprio nel bambino che è nota la tendenza, in qualsiasi situazione non conosciuta, a riferirsi alle figure di riferimento in modo da trarre informazioni che lo guidino su come comportarsi. Quello che il bambino farà è, di conseguenza, frutto della sua personale percezione dello stimolo insieme alla reazione degli altri.
Questo processo è definito dagli psicologi: ricerca del Riferimento Sociale.
Alcuni ricercatori (Merola et Al, 2011) hanno indagato in modo approfondito l’esistenza del Riferimento Sociale nel cane vale a dire la possibilità, che i nostri cani, al pari dei bambini, cerchino di usare la percezione e l’interpretazione di una situazione da parte nostra come guida del loro comportamento in quella determinata situazione.
In presenza di uno stimolo potenzialmente pericoloso l’ 83% dei cani analizzati guardava immediatamente il proprietario e poi di nuovo l’oggetto, alternando lo sguardo all’uno e all’altro.
Quando il proprietario manifestava preoccupazione nei confronti dello stimolo, i cani tendevano ad immobilizzarsi e avevano un’espressione tesa e preoccupata mentre se il proprietario appariva allegro ed incuriosito, anche il cane riusciva ad avvicinarsi all’oggetto.
I cani, quindi, come i neonati umani, guardano agli esseri umani significativi nella loro vita e cercano in loro un “consiglio” su come interpretare le situazioni che potrebbero essere ambigue o problematiche.
Sembra anche che i cani siano in grado di comprendere come le persone interagiscono tra loro e comportarsi di conseguenza: preferiscono giocare con le persone che vincono al gioco con altre persone (Rooney et al, 2006) e tendono ad “elemosinare” cibo dalle persone generose verso le altre (Pescini, 2011).
I cani hanno aspettative nei confronti degli umani che incontrano e scelgono quelli che sono più avvezzi ad aiutare il prossimo.
Discussa è la capacità dei cani di provare empatia, vale a dire della capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, sentendo cosa l’altro prova.
Anche se i proprietari di cani sembrano essere abbastanza sicuri che i loro cani siano in grado di provare empatia, i biologi ritengono l’empatia un sentimento molto complesso e difficile da dimostrare in animali di altra specie e molti ricercatori, riferendosi ai cani, preferiscono l’utilizzo di termini che lascino sottintendere qualcosa di più istintivo, come il “Contagio Emotivo” vale a dire la capacità di un individuo di rispondere alle emozioni di un altro, senza comprendere appieno ciò che quella persona sente.
Due psicologi, Deborah Custance e Jennifer Mayer Da Goldsmiths College di Londra, hanno deciso di vedere se i cani fossero davvero empatici quando i loro proprietari erano in condizioni di stress emotivo o se, come spesso ipotizzato, il loro tentativo di conforto del proprietario non fosse altro che un tentativo di confortare se stessi, preoccupati dal comportamento del proprietario (per es. il pianto) piuttosto inusuale.
Per lo studio è stata utilizzata la stessa procedura già utilizzata con successo per misurare l’empatia nei bambini e testato 18 cani.
I ricercatori hanno analizzato degli incontri tra il proprietario del cane e uno sconosciuto in cui, in maniera random, uno dei due faceva finta di piangere.
Per dimostrare l’empatia, i ricercatori si aspettavano un tentativo, da parte dei cani partecipanti, di un conforto sotto forma di comportamenti (lamentarsi, leccare, poggiare la testa sul grembo ecc) indirizzati principalmente alla persona che piangeva.
Se nel conforto della persona sofferente vi fosse stato solo il contagio emotivo o il tentativo del cane di confortare se stesso piuttosto che l’altro, nel momento in cui a piangere era la persona non familiare, il cane si sarebbe comunque diretto al suo proprietario con il quale c’è un legame emotivo.
Ciò che i ricercatori hanno trovato, invece, era che il cane si avvicinava e cercava di confortare non solo il suo proprietario, ma anche l’estraneo che sembrava essere infelice e sembrava offrire simpatia e sostegno più o meno nel modo in cui gli esseri umani mostrano empatia per gli altri.
In un recente studio (Andics, 2014) si è voluto vedere se nei cani esista una regione del cervello simile a quella trovata nel 1999 da alcuni ricercatori canadesi nell’uomo, capace di riconoscere voci umane e decodificare tutti gli aspetti non linguistici del suono.
Alcuni cani sono stati addestrati a rimanere calmi e distesi in una TAC e abituati ad indossare delle cuffie attraverso le quali venivano presentati tre tipi di suoni (ambientali, di altri cani, di voci umane).
Il loro comportamento è stato paragonato a quello di alcune persone studiate nelle medesime condizioni.
Il cervello, sia dei cani che delle persone rispondeva in modo più intenso ai suoni prodotti dalla propria specie ma esisteva, in cani e persone, una parte specifica del cervello che si attivava solo come conseguenza delle voci umane e la cui attivazione era in relazione con le emozioni trasmesse dalle voci stesse.
Oltre che dal tono della nostra voce, i cani sono in grado di leggere le nostre emozioni anche dall’espressione del nostro viso: un team di ricercatori guidato da Corsin Müller presso l’Università di Medicina Veterinaria di Vienna nel 2015 ha addestrato un gruppo di 11 cani per distinguere tra le immagini di una stessa persona con espressione felice o arrabbiata potendo vedere solo la metà superiore o la metà inferiore del volto della persona.
La scoperta interessante è stata che, una volta che i cani potevano distinguere il mezzo volto felice rispetto al mezzo volto arrabbiato, erano anche in gradi di estendere questa consapevolezza nei confronti del mezzo volto corrispondente al quale non erano stati esposti nelle fasi di addestramento nonché nei confronti delle medesime espressioni nelle immagini di persone diverse.
Dalle reazioni comportamentali esibite dai cani alla vista delle immagini, era inoltre possibile immaginare la presenza di un’associazione tra un volto sorridente con un significato positivo e tra una espressione arrabbiata con un significato negativo.
Oggi sappiamo, grazie ad un ultimo recente studio (Albuquerque N, 2016) che i cani possono riconoscere le emozioni negli esseri umani mediante la combinazione di informazioni provenienti da sensi diversi, capacità che non era mai stata osservata in precedenza al di fuori degli esseri umani.
Per dimostrare che i cani formino delle vere e proprie rappresentazioni mentali astratte di stati emotivi positivi e negativi e non imparino semplicemente ad associare un’espressione umana con quello che generalmente segue, i ricercatori hanno presentato ad alcuni cani, abbinamenti di immagini e suoni in diverse combinazioni di espressioni emotive positive (felici o ludiche) e negativi (arrabbiato o aggressivo) degli esseri umani e cani.
I cani passavano molto più tempo a guardare le espressioni facciali che erano correlate alla “corretta” valenza della vocalizzazione, sia per i soggetti umani che canini.
E così la ricerca è ancora aperta e sta inviando i primi segnali concreti di qualcosa che i proprietari di cani sanno già da tempo…i cani sono sensibili agli umori delle persone a cui sono legati e ci sono sempre a consolarle e a fornire sostegno e conforto, in caso di bisogno.
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